Pillola a cura dell'Avvocato Bartolo Quartana
Con la recente sentenza n. 19363 del 15/07/2024, la Sezione Quinta della Corte Suprema di Cassazione è tornata ad occuparsi del tema concernente il trattamento fiscale delle cessioni di opere d’arte da parte di privati.
La decisione qui in esame si pone in continuità con l’indirizzo giurisprudenziale avviato dall’Ordinanza della Cassazione n. 6874 dell’8/03/2023.
A parere degli Ermellini, al fine di individuare il corretto trattamento fiscale applicabile alla fattispecie, è necessario innanzitutto distinguere tra:
mercante di opere d’arte: “colui che professionalmente e abitualmente ne esercita il commercio, anche in maniera non organizzata imprenditorialmente, col fine ultimo di trarre un profitto dall'incremento del valore delle medesime opere”;
speculatore occasionale: “chi acquista occasionalmente opere d'arte per rivenderle allo scopo di conseguire un utile”;
collezionista: “chi acquista le opere per scopi culturali, con la finalità di incrementare la propria collezione e possedere l'opera, senza l'intento di rivenderla generando una plusvalenza”.
La Corte ha anche enucleato - sulla scia della dottrina specialistica - gli elementi su cui fondare la diversa qualificazione, quali: lo scopo dell'acquisto, la frequenza e il numero delle transazioni, la durata de possesso, le attività finalizzate a facilitare la vendita e infine l'esame delle ragioni che hanno portato all'alienazione. Ha quindi individuato i diversi effetti fiscali delle differenti qualificazioni, affermando che, per il mercante d'arte, si è in presenza di redditi d' impresa ex artt. 55 ss. TUIR e di passività a fini IVA come previsto dall'art. 4 del D.P.R. 633/1972; lo speculatore occasionale potrà generare i redditi diversi di cui all'art. 67, c. 1, lett. i), TUIR, non trovando però assoggettamento ai fini IVA per mancanza del requisito dell'abitualità; il collezionista, invece, non sarà soggetto ad alcuna imposizione.
Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto sussistente l’intento speculativo perché il collezionista aveva incaricato della vendita una casa d’aste, aveva in passato concesso l’opera in esposizione a musei, attività che tradirebbe la volontà di “valorizzarla” in vista della vendita, massimizzando il profitto, aveva realizzato una plusvalenza di ammontare molto elevato, infine aveva compiuto operazioni similari «in periodi antecedenti e successivi». E ciò nonostante l’alienazione dell’opera fosse stata l’unica vendita effettuata nell’annualità accertata.
Come emerge dalla decisione assunta nel caso in esame, l’attribuzione delle diverse qualificazioni è ancorata ad una complicata indagine dell’elemento soggettivo del cedente, che spesso lascia adito a diversi dubbi.
Va auspicato, pertanto, una celere attuazione alla delega per la riforma fisale (Legge n.111/2023.), la quale all’articolo 5, comma 1, lettera h, n. 3) incentra la valutazione dell’organo giudicante su parametri oggettivi.